Gezellig – an Amsterdam trip


Cosa vuol dire Gezellig?

Intimità, cordialità, familiarità, piacevole sensazione di novità, luogo accogliente: sono molte le parole che possiamo usare per avvicinarci, senza tuttavia riuscire mai a cogliere in pieno il significato di questa parola. Ma non disperate: una volta che visiterete Amsterdam, esplorandone l’aspetto più autentico e genuino, capirete perfettamente ciò che significa Gezellig.

Il nostro lungo week-end nella capitale olandese inizia giovedì. Dopo l’arrivo all’aeroporto di Schiphol decidiamo di andare alla scoperta dell’effervescente quartiere De Pijp.

Scegliamo di cenare da Burgermesteer, un ristorante fondato da tre compagni di scuola di Amstrerdam. La loro filosofia è semplice quanto efficace: prodotti locali senza l’aggiunta di alcun additivo o conservante in un ambiente dallo stile semplice ed accogliente. Ordiniamo un Master Bief (carne di manzo Blonde d’Aquitaine, verdure grigliate, maionese), e un Bief de Meaux (carne di manzo Blonde d’Aquitaine, Brie de Meaux, funghi).

Dopo la cena prendiamo una birra al Bar Mash in piazza Gerard Douplein, probabilmente la zona più mondana di De Pijp, affollata di locali che brulicano di vita. L’atmosfera che si respira è davvero esaltante.

Venerdì è l’ora del Van Gogh Museum: l’emozione di fronte alle opere dell’artista è grande. Poi pranzo al Beurs van Berlage, il maestoso edificio in mattoni rossi posto a metà strada tra piazza Dam e la Centraal Station, sede di numerosi uffici. Dopo esserci rifocillati al buffet che ogni giorni viene allestito nell’ampio salone d’ingresso, decidiamo di visitare lo Stedelijk Museum, il museo di arte contemporanea e design della città.

Per la cena ci dirigiamo dal tailandese Bird Thai Snackbar, appena dietro il de Waag. Questo minuscolo locale è davvero una perla da non lasciarsi scappare, e la perenne coda che si forma alle sue porte ne è probabilmente la miglior testimonianza. Optiamo per un piatto con manzo, verdure, latte di cocco e curry verde accompagnato da abbondante riso e dei noodles con pollo e verdure a volontà.

Dopo aver cenato e vagato per qualche tempo nel quartiere a luci rosse, ci dirigiamo verso la nostra meta serale: il quartiere Jordaan.

A pochi passi dall’affollatissima e caotica zona centrale, Jordaan è un universo a parte: una tranquillità surreale accompagna la nostra placida passeggiata tra i più bei scorci della città. I ristoranti illuminati dalla flebile luce dalle candele, i magnifici saloni che si riflettono nei canali, l’inconfondibile campanile della Westerkerk che si staglia ogni qualvolta la vista si fa più ariosa: tutto contribuisce al leggendario fascino di questo quartiere, anche se probabilmente niente è paragonabile all’atmosfera che in una fredda serata si respira in un Bruin Café: Gezellig allo stato puro.

Non è facile definire cos’è un Bruin Cafè: un bar, un pub, un caffè, una taverna, una locanda? Un Telegraficamente, li si potrebbero definire antichi locali dall’atmosfera tranquilla e rilassata, che servono principalmente birra e jenever. Caratteristiche essenziali: interni in legno scuro, anneriti dal fumo delle sigarette, candele accese tutto il giorno e, per alcuni, sabbia sul pavimento, com’era in uso secoli fa.

La nostra scelta ricade sul Café ‘t Smalle: 230 anni sotto forma di un piccolo locale di legno dalle luci calde e soffuse. Prima una birra nel soppalco, che ci regala un ottimo punto di vista alternativo sul locale. La seconda al bancone: non possiamo fare a meno di lanciarci alla conquista dei tanto agognati sgabelli.

Per tornare a casa costeggiamo il Prinsengracht, uno più bei canali che abbracciano la città.

Il giorno dopo, in tarda mattinata, facciamo rotta verso l’EYE, l’avveniristico edificio situato dietro la Centraal Station dedicato al cinema. Prendiamo il battello dalla stazione e l’affascinante sagoma dell’istituzione fa brillare gli occhi di due appassionati di cinema come noi. Dentro uno spettacolare bar/ristorante con vista sul canale, una collezione permanente visitabile gratuitamente che comprende – tra le altre cose – futuristiche cabine-cinema, una bella quanto inquietante mostra apocalittico/psichedelica su alcuni artisti olandesi contemporanei e, ciliegina sulla torta, un negozio di libri, dvd, poster e qualsiasi tipo di gadget cinematografico.

La morsa della fame ci riporta in centro, questa volta l’indirizzo che scegliamo è quello di Rob Wigboldus Vishandel, in una piccola traversa non lontana da piazza Dam. Un piccolo quanto spartano dove l’imponente figura di Rob inizierà a sfilettare aringhe sotto i vostri occhi. La vista del rozzo panino farcito con aringa, cetrioli sottaceto e cipolla, non sarà più un deterrente: amore al primo morso per chi ama il pesce crudo. Sbranato il primo panino, ne ordiniamo immediatamente un altro. Reflusso gastroesofageo (aka rutti avviati) tutto il giorno ma ne è valsa la pena.

Gezellig al cetriolo.

Dopo dritti alla mostra che la fondazione World Press Photo tiene nella sconsacrata chiesa Oude Kerk. Un percorso composto da decine e decine di foto di sublime bellezza raggruppate per sezioni: attualità, sport, progetti a lungo termine, natura. Le numerose foto che hanno come soggetto la guerra in Siria (alcune davvero molto forti) e il dramma dei migranti sono un vero e proprio pugno nello stomaco.

Scossi dall’esperienza ci allontaniamo dal gran frastuono del centro in direzione Vondelpark, polmone verde di Amsterdam.

Per la sera, grazie all’aiuto di TripAdvisor, troviamo un ottimo posticino: Jackets, il paradiso della “baked potato”. In un locale in tipico stile ‘radical chic’ contemporaneo si servono giganti patate cotte al forno e ‘vestite’ a scelta dai clienti: carne, pesce, verdure, salse, e chi più ne ha più ne metta. Il tutto accompagnato da ottime birre artigianali olandesi.

Una volta usciti dal locale, sotto una fredda e fastidiosa pioggia, i nostri piani di guerra per la serata si sfanno come neve al sole: questa lunga giornata ha assorbito gran parte delle nostre energie (e delle nostre risorse finanziarie): rientriamo a casa.

La domenica, dopo una bella dormita ristoratrice, usciamo dopo pranzo in direzione Museumplein. Un timido sole si affaccia tra le nuvole, finalmente scaldandoci un po’. Ne approfittiamo per goderci questi primi veri raggi di sole nel verde della piazza, fino a quando la grandine non ci sorprende (WTF!?). Per fortuna si è trattato solamente di una breve pausa, e dopo poco possiamo incamminarci verso Spui: una spettacolare piazza acciottolata attorniata da bar storici e librerie, da cui si accede, inoltre, al celebre complesso Begijnhof.

Nella piazza la domenica si tiene un mercatino d’arte davvero interessante, in cui gli artisti espongono direttamente le loro opere.

Dopo uno stroopwafel all’angolo da Lanskroon, la pasticceria più rinomata della città, la prossima tappa è Wynand Foninck. Ovvero, il locale per eccellenza in cui gustare il leggendario gin di Amsterdam, lo jenever. La sala di degustazione risale al 1679 e serve gin aromatizzato a decine di gusti: parlate con gli estroversi commessi del locale per creare la vostra combinazione. Assaggiamo una combinazione di mela, rosa, cannella ed erbe varie: delizioso.

Per l’ultima cena di questo breve ma intenso week-end non c’è niente di meglio che una scorpacciata di fritto olandese: kroketten, polpette, formaggio e verdure al café de Blauwe Pan, nel cuore di Jordaan. La gigantesca torta di mele maison con panna è la mazzata finale.
Torniamo a casa – solo nello spirito – leggeri, accompagnati dal tardivo tramonto di Amsterdam.

Jacopo Bernardini

Un weekend a Porto: consigli e suggestioni


È passata circa una settimana dal mio primo incontro con il Portogallo; ne conservo ancora le sensazioni, i colori e le emozioni. È stato un incontro rapido, organizzato in fretta, privo di aspettative, ma è bastato a lasciarmi dentro un ricordo prezioso. E il desiderio di tornare.

Meta del viaggio non la capitale Lisbona, ma la seconda città più importante, la “capitale del nord”: Porto, conosciuta anche come Oporto. Ancora una volta mi sono affidato a Ryanair, una delle compagnie più indicate per voli economici, con partenza da Bergamo-Orio al Serio, un viaggio di circa 2 ore e 45. Non fatevi ingannare dagli orologi di Porto: il fuso orario locale prevede un’ora indietro rispetto all’ora italiana.


Giorno 1/Venerdì: L’accoglienza si rivela delle migliori: un bell’aeroporto, nuovo e piuttosto grande, e soprattutto il sole. Prendiamo la metro in direzione São Bento, dove si trova anche la pittoresca stazione ferroviaria. I treni della metro sono ben tenuti e spaziosi, privi del caos tipico delle grandi città, suddivisi in 6 linee che collegano bene tutte le zone.

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Abbiamo prenotato un appartamento da Shining View, in pieno centro, per l’esattezza in Rua das Taipas, una vietta in ciottoli incorniciata dalle tipiche casette portoghesi. colorate e segnate dal tempo. La sensazione è proprio quella di essere tornati indietro di qualche decennio, ed è una sensazione piacevole.

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Giudizio assolutamente positivo per l’alloggio: posizione ottimale, appartamento nuovissimo e confortevole, massima pulizia. E in più simpatia e disponibilità del personale, che non guasta mai. Apro la finestra e scorgo i tetti rossi che caratterizzano la città, spunta anche il retro di una chiesa, e inizio a respirare l’atmosfera portoghese.

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Giusto il tempo di posare i bagagli e andiamo in avanscoperta, bastano due passi per arrivare nel centro di Porto, dove troviamo il Jardim João Chagas, la famosa Torre dos Clérigos (simbolo della città), l’Universidade, e la Praça de Gomes Teixeira, dove campeggiano una fontana coi leoni, grandi palme e un viavai di gente. Un musicista di strada riscalda l’atmosfera con il suo sassofono. Per la colazione un salto alla famosa Padaria Ribeiro, il top in città per gustare i dolci tipici, come brispos, côcos, croissants, natas de chila… altrettante le delizie salate. Insomma, tappa obbligata per i golosi.

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Dopo l’ottima colazione dritti alla storica Livraria Lello e Irmão, bellissima libreria del 1869 in stile liberty con influssi gotici, che peraltro ha ispirato J. K. Rowling nell’ideare le magiche scale di Hogwarts. Proprio le scale infatti sono il punto forte dell’edificio, per la struttura molto particolare. Uno spettacolo per tutti gli amanti dei libri e dell’architettura.

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Per non farci mancare nulla ci dirigiamo al mercato do Bolhao, il posto migliore per assaporare piatti tipici a basso prezzo, ma soprattutto per scorgere il vero volto di questa città, con i suoi vecchi venditori, i colori accesi, gli odori forti; uno spirito popolare e genuino che sopravvive all’omologazione globale. Usciti dal mercato ci lasciamo trasportare dai saliscendi incontrando piazzette e chiese, fino a raggiungere la piazza più maestosa: Praça da Liberdade, imponente e in leggero contrasto col resto della città, più “paesano”.

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Decidiamo di approfondire la cultura locale dedicando il primo pranzo al piatto tipico: la Francesinha. Di cosa si tratta? Un toast ripieno di salame, una fettina di vitella, salsiccia, chouriço (ovvero salsiccia di maiale salata in salamoia) e wurstel! Il tutto ricoperto di formaggio fuso e annegato in una salsa alla birra, che spesso servita in versione piccante con il piri piri, simile al peperoncino. Nella variante della francesinha speciale (scelta dal sottoscritto, ovviamente) si aggiunge sulla sommità del panino un bell’uovo fritto, il tutto accompagnato da una montagna di patatine fritte! Devo ammettere, pur essendo un ingordo amante del cibo ipercalorico, che finire la francesinha è un’impresa non da poco, ancor peggio digerirla. Un consiglio? Dividetela in due, non vi rimarrà il rimpianto e il vostro stomaco vi ringrazierà. Per gustare questa specialità abbiamo seguito il consiglio del ragazzo che ci ha affittato l’appartamento: Café Santiago, che dovrebbe essere il migliore (N.B. Essendo un locale famoso è facile che si debba aspettare un po’ prima di avere un tavolo).

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Per digerire la malefica francesinha camminiamo in lungo e in largo, raggiungendo il Terreiro da Sé, uno spiazzo rialzato dove campeggia l’omonima chiesa e da cui si gode una vista pazzesca sul cento storico e sul fiume Douro, che divide i comuni di Porto e Vila Nova da Gaia. Scendendo verso il fiume andiamo incontro al secondo grande simbolo di Porto (oltre alla già citata torre): il ponte Luís I, progettato da Gustave Eiffel (lo stile infatti è quello della più famosa Tour), e realizzato da un suo allievo. Il ponte è percorribile in basso, dove circolano le auto, e in alto, dove passa la metro, ma soprattutto dove si gode la vista più emozionante ed evovativa.

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Vista dal Terreiro da Sé


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Il ponte Luís I visto dall'ovovia

Per scendere dal Ponte Luis I all’altra sponda del Douro, a Vila Nova da Gaia, prendiamo l’ovovia, che regala una vista a mezz’aria davvero particolare. Sulla passeggiata, in riva al fiume, si trovano tutte le sedi delle vinerie produttrici di Porto, il famoso vino liquoroso che porta lo stesso nome della città. Andiamo in una cantina per una degustazione offerta in omaggio con il biglietto dell’ovovia: tra botti, bottiglie e calici svuotati in fretta, assistiamo al passaggio dal pomeriggio alla notte sulle note di musica dal vivo, rigorosamente in portoghese.  Dopo un salto a casa addolcito da altri bicchieri di Porto, usciamo alla scoperta della movida: nella via Galeria de Paris e dintorni è tutta una festa, bar e locali per ballare uno dopo l’altro, nel buonumore generale.
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Sulla riva del Douro


Giorno 2/Sabato: Non ci lasciamo abbattere dalla stanchezza dovuta alla nottata e ci rilanciamo in mattinata nelle viette di Porto, primo obiettivo: Torre dos Clérigos. Saliamo fino in cina e ci godiamo il panorama caratteristico composto da miriadi di casette dal tetto rosso ammassate, dai giardini e dalla lucentezza del fiume Douro, in lontananza si scorge anche l’oceano. I numerosi scalini della torre ci hanno messo fame e corriamo da Capoeira Central dos Leoes per gustare un ottimo churrasco – ovvero grigliatona di carne con riso, fagioli e patatine fritte – accompagnato dalla birra Super Bock, prodotta proprio qui (e scende che è un piacere). Dopo il lauto pranzetto corriamo a prendere la metro con destinazione Estádio do Dragão, campo di gioco del FC Porto, ma ahimè riusciamo a vederlo solamente da fuori, poiché l’ultimo turno di visita è finito: quindi se volete visitare lo stadio occhio ai turni, consultabili qui. Il tour di vista vi porterà in campo, sugli spalti, negli spogliatoi, nella sala stampa e nel parcheggio dei pullman, e potrete sedervi perfino sulla poltrona del presidente. Inoltre è possibile fare acquisti nel fornitissimo store, fare un viaggio nella storia del club visitando il Museu e rifocillarsi nel bar con caffé e dolcetti, sempre all’interno dell’edificio.

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Churrasco

Anche per la cena del secondo giorno abbiamo puntato sulle specialità locali, questa volta il bacalhau, ovvero il merluzzo essiccato e salato, cucinato egregiamente in un ristorante molto chic sulla riva del fiume (di cui purtroppo non ricordo il nome). E dopo cena di nuovo nelle vie del centro in mezzo alla festa generale.

(Non siate tristi: lo stadio l’abbiamo visto comunque, tornando il giorno successivo, all’orario giusto!).

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Estádio do Drãgao


Giorno3/Domenica: Per l’ultimo pomeriggio a Porto abbiamo deciso di affittare delle bici e costeggiare il fiume Douro fino a raggiungere l’oceano. Il Douro infatti, a partire dal quartiere Ribeira, è fiancheggiato da una lunga pista ciclabile che regala panorami mozzafiato mano a mano che ci si avvicina al mare. Superconsigliata una tappa al faro Felgueiras, dove potete farvi accarezzare dalle onde e dal vento (andando fino in fondo alla banchina è facile inzupparsi completamente!). Poco oltre al faro inizia la spiaggia, luogo perfetto per aspettare il tramonto e respirare aria di libertà.

Dopo la fantastica ma sfiancante giornata impiegata a pedalare ci concediamo una serata tranquilla con cena da As 7 Maravilhas, un posticino molto particolare che serve ricette da tutto il mondo, dai falafel ai currywurst al goulash.

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Giorno 4/Lunedì: Il giorno della partenza il sole ha lasciato il posto a una nebbia fittissima, che ha impedito al nostro volo di decollare. L’avventura è terminata dopo uno spostamento in pullman all’aeroporto di Santiago de Compostela, attese infinite e un volo accanto a una simpatica neonata urlante. Ma questa è un’altra storia.,,

Spero di aver trasmesso almeno un po’ la voglia di passeggiare per le vie di questa meravigliosa città . Aspetto confronti e consigli da parte di altri viaggiatori. [Potete trovare tutti gli scatti della vacanza sul mio profilo Instagram]

Obrigado!

G.

Pesce d’aprile: l’origine delle bufale


Tutti, in diversi paesi del mondo, sappiamo che oggi è il Pesce d’Aprile, giornata particolare in cui siamo giustificati a fare scherzi più o meno bastardi. Gli stessi mezzi di comunicazione negli anni si sono lasciati andare a bufale belle grosse passate per informazioni accreditate, e molte aziende hanno pubblicizzato l’emissione di nuovi prodotti improbabili.

Celeberrima la bravata del regista Orson Welles, che per il 1° aprile del 1938 progettò uno speciale programma radiofonico, trasmesso poi il 30 ottobre per problemi tecnici. Il programma era La Guerra dei Mondi e simulava la notizia speciale di un’invasione aliena. Inutile dire che tra la popolazione dilagò immediatamente il panico.

Numerosi gli scherzi anche negli ultimi anni. Per esempio Total Film nel 2010 annunciò che la trilogia de Lo Hobbit sarebbe stata realizzata in 4D, con stimoli sensoriali come odori e spruzzi d’acqua durante la proiezione in sala. Mentre la Peugeot nel 2012 dichiarò la produzione di un modello speciale della RCZ, in grado di mutare colore in base alle emozioni del guidatore.

Google-NoseO come Google che nel 2013 ha annunciato il fantomatico Google Nose, un dispositivo per sentire gli odori da ogni parte del mondo dal proprio display, per non parlare della caccia al tesoro su Google Maps, della personalizzazione della propria casa su Google Street View e della versione blu di Gmail.

Quest’anno invece la scelta di Google è ricaduta non su una bufala ma su un gioco: una caccia ai Pokémon all’interno di Google Maps, idea apprezzatissima dai fan di tutto il mondo.pokemon-challenge

Innumerevoli anche i documenti-bufala pubblicati come RFC dai redattori degli standard di internet.

Non siamo molto sicuri però delle reali origini di quest’usanza.

La teoria più probabile è legata all’equinozio di primavera, che cade il 21 marzo. E proprio il 21 marzo, prima dell’adozione del Calendario Gregoriano dal 1582, veniva osservato come Capodanno da molte culture. Le celebrazioni duravano solitamente dal 25 marzo al 1° aprile.

Dopoché papa Gregorio XIII spostò l’inizio dell’anno a gennaio con il nuovo calendario, in Francia si iniziò a regalare pacchi vuoti il 1° d’aprile, ormai non più giorno di festa, ai pagani e ai nostalgici, che venivano così scherniti e derisi da chi ormai accettava di buon grado la nuova liturgia. Il nome dato a quest’usanza era poisson d’Avril (“pesce d’aprile” per l’appunto).

April Mop_opiniherryDalla Francia l’uso si spostò in Italia, Inghilterra (April fool’s day), Stati Uniti e in Scozia (Taily day), dove gli scherzi durano ben due giorni e vige l’usanza di attaccare cartelli  con scritto “Kick me” sui tonti. In Spagna e in America Latina il Pescado de abril si festeggia invece il 28 dicembre, giorno dedicato ai santi innocenti.

Forse però è il caso di andare ancora più indietro nel tempo, dato che non solo in Francia ma in tutta Europa era comune questo uso, a partire dall’età classica. Affine è infatti il mito di Proserpina: dopo il rapimento da parte di Plutone la madre la cerca invano, confusa dagli inganni di una ninfa. O forse all’origine c’è la festa pagana di Venere Verticordia, che presenta tratti comuni al pesce d’aprile.

ixtysPer alcuni non bisogna indagare nel mondo pagano ma in quello cristiano: essendo la morte di Gesù collocata dal Calendario Gregoriano nel 1° aprile 33, i nemici del cristianesimo potrebbero aver adottato questa data per prendersi gioco dei credenti.
D’altra parte proprio il pesce era uno dei più utilizzati simboli cristiani: il termine greco ΙΧΘΥΣ (“pesce”) stava per “Gesù Cristo, Figlio di Dio Salvatore”.

Un’ulteriore versione si rifà al 1° Aprile 1634, quando il Duca Francesco di Lorena, prigioniero del Re Luigi XIII, riuscì a fuggire dal Castello di Nancy nuotando sotto il pelo dell’acqua di un fiume. Si commentò poi che le guardie erano state raggirate da un enorme “pesce”, e da qui la scelta del simbolo della giornata dello scherzo.

G.

Buon Natale … ortodosso!


Il Natale è alle porte, ma l’emozione è limitata: come ogni anno sappiamo cosa aspettarci dalle nostre vacanze, legate a tradizioni incrollabili, una vera e propria scaletta da rispettare. È sicuramente molto più interessante vedere come funzionano le cose altrove, in Russia ad esempio.

Il Patriarca Cirillo celebra il Natale ortodosso a Mosca

Il Patriarca Cirillo celebra il Natale ortodosso a Mosca

Quello che si festeggia in Russia non è il Natale cattolico, come da noi, ma quello ortodosso, e questa differenza va a mutare parecchi aspetti, a partire dalla data: il 7 gennaio! La ragione è molto semplice, la Chiesa ortodossa ha continuato ad osservare il calendario giuliano, e non quello gregoriano in vigore per lo stato laico. Gli ortodossi più attenti si preparano alla festività con ben quaranta giorni di digiuno e preghiera, un periodo paragonabile alla quaresima di Pasqua per il mondo cattolico. Il digiuno non è severissimo fino alla vigilia, dove sono concessi solo grano lesso e frutta; esso termina al tramonto, in chiesa. La messa prevede canti e preghiere, l’esposizione dell’icona di Natale e di una candela accesa (simbolo della stella cometa) e infine l’unzione dei fedeli e la distribuzione del pane benedetto. Il giorno seguente non può mancare il pranzo con i parenti, come da noi insomma.

Nelle case dell’albero e del presepe non c’è traccia, possiamo trovare invece come addobbi i simboli della tradizione cristiana, già dai tempi delle catacombe: ghirlande, pesci e pecore.

Rimane perlopiù una festa religiosa, svincolata da tutto l’apparato commerciale e culturale a noi comune, e per questo il Natale ortodosso non viene considerato poi molto dai Russi. Un po’ colpa del comunismo sovietico, che proclamando l’ateismo di stato spostò l’attenzione dei cittadini dal natale al capodanno, festa decisamente più sentita e attesa.

Fuochi d'artificio su Piazza Rossa a Mosca

Capodanno: fuochi d’artificio su Piazza Rossa a Mosca

Per il capodanno nessuna inversione di data, in quanto festa laica segue il calendario gregoriano introdotto da Lenin e va a cadere tra il 31 dicembre e il 1° gennaio. E così la sera di San Silvestro i Russi si riuniscono con amici e parenti per un grande banchetto, dove il cibo abbonda: carne, pesce, caviale e zuppe, senza dimenticare l’immancabile insalata russa, da loro chiamata “insalata invernale”. Si fa spazio anche a frittelle ripiene dolci e salate, i ravioli pelmeni o varyeniki, la polenta tradizionale kasha, il tutto condito dalla panna acida smetana. Per addolcire il pasto si serve la gelatina di frutta kampot. Nei bicchieri la kvas, una bevanda di pane fermentato simile alla birra ma analcolica; per brindare, ovviamente, tanta vodka e champagne russo!

Quando si avvicina la mezzanotte ci si sintonizza su Radio Mosca per sentire in diretta i rintocchi delle campane del Cremlino, che poi lasciano spazio a un grande concerto.

Non di rado i più giovani escono a festeggiare, ma il freddo e la voglia di stare in famiglia frenano i più, che preferiscono rimanere a casa secondo tradizione.

Ded Moroz e Snegurochka

Ded Moroz e Snegurochka

Anche il post festeggiamenti prevede un’usanza particolare: per riprendersi dalle mangiate e bevute eccessive il 1° gennaio si va alla terme per saune, massaggi e relax.

Un ultimo accenno ai bambini, veri protagonisti delle feste. I piccoli russi non accolgono con latte e biscotti la venuta di Babbo Natale, ma di una figura simile. Si tratta di Ded Moroz, tradotto “Nonno Gelo”, un vecchio barbuto vestito di bianco e oro (in altre versioni blu o rosso) che con la sua slitta porta doni ai bimbi buoni, e carbone, cipolle e rami di saggina a quelli cattivi, nella notte di capodanno. Ad aiutare il nonnino la nipote Snegurochka (“Fanciulla di Neve”), una graziosa ragazza bionda dalle gote rosse e gli abiti azzurri.

G.

[Con la collaborazione di Chiara F.]