‘Il sentiero dei nidi di ragno’ – Una piacevole (ri)scoperta


Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo.

Per anni ho avuto questo piccolo libro a casa, davanti agli occhi, senza mai sentire la curiosità di aprirlo, forse sottovalutandolo. Oggi mi ritrovo a scoprirlo e ad apprezzarlo moltissimo. Presentando la Resistenza attraverso lo sguardo distorto di un monellaccio, Calvino ci ha regalato una visione quanto mai autentica ed efficace di un Italia ferita e confusa, di un periodo cruciale che non possiamo e non dobbiamo ignorare.
G.

Rolli Days – Strade e palazzi da vivere


  
In questi giorni nuovo appuntamento a Genova con i Palazzi dei Rolli, gli edifici storici annoverati tra i Patrimoni dell’Umanità UNESCO. Porte aperte ai visitatori in ben 21 palazzi, 2 chiese e 2 ville, con l’accoglienza di studenti e ricercatori dell’Università di Genova.

Si tratta di spazi urbani unitari di epoca tardo-rinascimentale e barocca e palazzi di famiglie nobiliari cittadine. Le maggiori dimore erano sorteggiate in liste ufficiali (dette appunto “rolli”) per ospitare le visite di Stato.

i palazzi, spesso articolati in sequenza atrio-cortile-scalone-giardino e ricchi dì decorazioni interne, esprimono una singolare identità sociale ed economica che inaugura l’architettura moderna in Europa.

Non mi sono lasciato sfuggire l’occasione e ho partecipato all’evento per conoscere un po’ meglio i tesori di questa città in cui studio da ormai tre anni, e conosco ancora troppo poco.

Ecco alcuni scatti tra Villa delle Peschiere, Palazzo Tursi, Palazzo Rosso e Palazzo Reale.

 

Villa delle Peschiere

  

Villa delle Peschiere

  

Palazzo Lomellino

  

Palazzo Tursi

 
 

Vista sul centro storico dal tetto di Palazzo Rosso

  

Via Garibaldi

  

Galleria degli Specchi di Palazzo Reale

    

Cortile di Palazzo Reale

  

Palazzo Reale

 
G.

Genova Photo Marathon: a caccia di scatti tra le vie della Superba


Domenica si è svolta la prima Photo Marathon di Genova.

Non avete idea di cosa sia la Photo Marathon? Ve le spiego in qualche riga.

L’evento viene organizzato da Italia Photo Marathon, un’associazione culturale con sede a Torino che promuove la passione per la fotografia come strumento di valorizzazione dell’ambiente, del territorio e del patrimonio culturale del nostro Paese. L’evento Photo Marathon consiste nel partecipare – con quota di 15 euro – a una gara di foto scattate durante la giornata nella città di riferimento, seguendo 9 temi proposti dai diversi sponsor, che vengono comunicati ai “maratoneti” durante 3 tappe: alle ore 10.00, 13.00 e 16.00. Si ha tempo fino a fine giornata per scattare, e per tutto il giorno seguente è possibile caricare le foto prescelte sul sito dell’evento, dove ogni partecipante ha un profilo provato creato durante l’iscrizione online. Una giuria è preposta alla valutazione delle foto partecipanti e oltre ad assegnare un premio assoluto al fotografo col punteggio complessivo più alto, deve premiare due foto per ogni tema: una per la categoria “normale” e una per la categoria “Instagram” (in questo caso la foto deve essere caricata sia sul sito di IPM, sia sull’applicazione), soluzione pensata per gli amanti dei social. In programma anche una mostra con le foto più belle.

Ma torniamo a noi (a me): senza farmi abbattere dalla sveglia mattutina e dalla pioggia incessante, ho preso il treno e sono arrivato bagnato e sonnecchiante in città. Mi aspettavo di trovare solo qualche indomito appassionato di fronte agli stand dell’evento in piazza De Ferrari, ma sono stato accolto da una lunga fila di genovesi – e non – muniti di ombrelli, mantelle e di imponenti apparecchi fotografici.

E io con un ombrelletto scassato, giacca leggera e jeans impregnati d’acqua.

E non dimentichiamo il mio smartphone a rischio esaurimento batteria in tempo record, strumento prescelto per partecipare alla gara. Perché oltre a non avere una macchina fotografica come si deve, non sono riuscito a caricare neanche una delle mie compatte, disperse in un cassetto e abbandonate da tempo.

Insomma le mie possibilità di uscirne con dignità si sono annullate immediatamente. La mia consolazione? Partecipare alla categoria Instagram, sperando in una concorrenza più “amatoriale”.

Dopo una fila relativamente rapida e la consegna di una sacca con maglietta, una strana borraccia e alcuni flyers, sono stati annunciati i 3 temi della prima manche: CITY LIFE, EMOZIONI MARINE e DALL’ALTO IN BASSO.

Il terzo tema mi suggerisce subito di spingermi verso le alture della città, così da piazza De Ferrari raggiungo piazza Corvetto, dove – nel sottopasso – trovo ispirazione per il tema City Life, quando un signore (che mi ha guardato malissimo) con ombrello passa tra i muri ravvivati dai disegni degli studenti del liceo artistico Klee-Barabino. Purtroppo la qualità della foto è pessima, è il maledetto formato quadrato di IG mi ha costretto a munirla di strisce orizzontali. Eccola in tutto il suo splendore(?!):

CITY LIFE

CITY LIFE

Da piazza Corvetto mi sposto in su verso piazza Manin, prendo l’ascensore – il primo che trovo, senza sapere bene dove mi porterà – e arrivo in uno spiazzo da cui si può scorgere la città dall’alto. Cammino senza una meta preciso e mi ritrovo su una tipica scalinata rossa in pendenza tra case colorate. E – taaac! – compare una vecchina intenta a farsi le scale lentamente, e dico mooolto lentamente. Il mio radar da fotografo-improvvisato-stalker si attiva subito e catturo l’immagine. Ed un altro tema è andato.

(Nota per il lettore: in quanto studente pendolare e distratto mi sento giustificato ad avere un senso dell’orientamento pari a zero quando si tratta di girare per Genova).

DALL'ALTO IN BASSO

DALL’ALTO IN BASSO

Avendo uno scatto per il tema “Dall’alto in basso” e non essendo in grado di raggiungere né Righi né Spianata Castelletto per una foto panoramica, mi appresto a tornare in centro per far vidimare la tabella di marcia e scoprire i nuovi tre temi: SGUARDI INEDITI, MEZZOGIORNO GENOVESE e ACQUA DOLCE.

Dovendo trovare ancora una foto per “Emozioni marine” ho puntato il Porto Antico, luogo più vicino e prevedibile per trovare qualche idea. E infatti tre idee sono saltate fuori.

Pensando a “Sguardi inediti”, mi sono soffermato sulla lunga fila di persone in attesa per entrare all’Acquario, ed in particolare sui loro piedi (non sono un feticista, giuro!). Nascondendomi dietro la mappa del porto (fotografare persone in modo plateale è imbarazzante per me), ho scattato di fretta ai piedi più vicini, ed ecco il risultato:

SGUARDI INEDITI

SGUARDI INEDITI

Meta seguente: la mia amata Isola delle Chiatte, sicuramente uno dei miei posti preferiti della Superba per la sua intimità e la vicinanza al mare. Prima ancora di arrivare mi soffermo sulle pozzanghere dove si riflettono i lampioni della banchina. Trovo spettacolare l’effetto di duplicità che si crea con le pozze d’acqua. E anche il tema “Acqua dolce” è andato:

ACQUA DOLCE

ACQUA DOLCE

Arrivato all’Isola delle chiatte ho ritrovato gli stessi due soggetti della foto precedente: un nonno con la nipotina armata di ombrello giallo, a cui mi sono subito affezionato (“Senti come si lamentano le barche” “E’ vero nonno!”). Inutile dire che la foto per “Emozioni marine” è uscita fuori:

EMOZIONI MARINE

EMOZIONI MARINE

Per il “Mezzogiorno genovese” penso subito a via di Sottoripa, dove si respira un’atmosfera popolare e dinamica e il cibo spunta da tutte le parti. Attratto dalla vetrina di un ristorante piena di pesce fresco mi apposto e aspetto che il cameriere si metta all’opera, e voilà:

MEZZOGIORNO GENOVESE

MEZZOGIORNO GENOVESE

Dopo svariate pause dovute alla fatica (non si corre ma si ha comunque la sensazione di una maratona), sono tornato al Check Point in piazza Deffe per l’annuncio degli ultimi tre temi, anch’essi annunciati al megafono: BLUE JEANS, ANTICHI SAPERI e CREUZA DE MA.

Gli “Antichi saperi” mi spingono quasi involontariamente in via Balbi, cuore della mia vita universitaria (ahimè pure di domenica questa volta). I palazzi sono tutti chiusi, da fuori è impossibile prenderli e la Biblioteca di Giurisprudenza presenta un’antiestetica impalcatura sulla porta. Soluzione? Fotografo l’insegna della via, semplicemente. Mi piace il contrasto che si crea tra la targa e il muriciattolo giallo, scrostato e impestato di locandine che testimoniano la presenza di studenti:

ANTICHI SAPERI

ANTICHI SAPERI

Senza spostarmi da via Balbi ho trovato uno spunto per il tema “Blue Jeans”. Ovvero sono stato fermo in attesa di passanti coi jeans da poter immortalare, e questo col cane a spasso è finito nel mirino:

BLUE JEANS

BLUE JEANS

Per “Creuza de ma” ho fatto un po’ di foto in giro, nei vari vicoli pendenti che ho trovato, ma alla fine ne ho trovata una ripescando tra quelle scattate in collina al mattino (dalle parti della vecchia sugli scalini, per intenderci), ed ecco cosa ne è uscito fuori:

CREUZA DE MA

CREUZA DE MA

Anche qua purtroppo qualità pessima, ma lo scorcio meritava. Ad avere una macchina vera e un po’ di sole…

E così ho completato tutti i 9 temi della marathon, non ne è uscito fuori granché ma sono soddisfatto dell’esperienza. Sembrerò banale ma è stato un modo per guardare la città, e chi la abita, in modo del tutto differente. Più attento, curioso, paziente. Quindi, se capita nella vostra città, pensateci. Basta uno smartphone per partecipare, parola mia.

[QUI potete ammirare la gallery con tutti gli scatti partecipanti alla competizione.]

Buona vita e buone foto!

G.

De Filippo secondo Servillo: la magia del teatro


Consacrato dall’enorme successo de La Grande bellezza – definitivamente confermato dall’Oscar – Toni Servillo non si lascia abbagliare dalle luci del successo, e continua con umiltà a coltivare la sua grande passione: il teatro.

3H_LeVociDiDentro_Servillo_FotoFabioEspositoProprio in questi giorni è in tournée al Teatro della Corte di Genova con il fratello Peppe e la sua compagnia con Le voci di dentro, brillante commedia del grande Eduardo De Filippo.

Oggi allo Stabile si è tenuto un incontro di presentazione dello spettacolo, nel quale Servillo ha sfoderato tutto il suo carisma e la sua simpatia per parlare al pubblico.

Perché ha scelto di rappresentare proprio questo testo? Toni si riscalda subito, ha la risposta pronta: Eduardo è un patrimonio della cultura italiana – dice – e della drammaturgia. È stato certamente uno dei più grandi attori del secolo scorso, se non il migliore. Nel suo teatro possiamo riconoscere un’occasione che l’arte ci offre per specchiarci e orientarci nella vita. Il teatro è sempre un’occasione di conoscenza.

Paragona Eduardo a Goldoni, anch’egli molto “teatrale” e italiano, e ricorda che al di fuori del palcoscenico egli si sentiva uno sfollato. Un uomo che ha dedicato tutta la sua esistenza al mestiere del teatrante, raggiungendo livelli sublimi.

Significativa nella produzione di De Filippo la suddivisione delle opere in Cantata dei giorni pari, che raccoglie il teatro umoristico e spensierato dei tre fratelli precedente al secondo conflitto mondiale, commedie in cui “recitano come di mangia”; e Cantata dei giorni dispari, il teatro di Eduardo colorato di note più amare, inquiete e pessimiste, di cui fa parte lo stesso Le voci di dentro, forse il testo più tragico. In questa seconda fase risulta evidente la contiguità tra scrittura ed esecuzione, tra autore e attore.

Eduardo_De_FilippoCome Molière per i Francesi, Eduardo è per gli Italiani un modello in cui specchiare la propria identità nazionale, ancor di più se si pensa all’empatia con il pubblico che egli ricercava in un territorio comune. Raccontava quello che conosceva, con semplicità e chiarezza.

Le voci di dentro è un’opera improvvisa, pulsante di furia creativa, scritta sulle macerie della 2^Guerra Mondiale; un confronto tra l’uomo e la società che dimostra l’inquietudine attraverso la comicità. Semplice il plot: Alberto Saporito, un apparecchiatore di feste popolari, è testimone dell’omicidio dell’amico Aniello Amitrano da parte dei suoi vicini, la famiglia Cimmaruta. La scoperta però si rivela un sogno, ma ad uno ad uno i personaggi perdono la maschera e rivelano le loro grettezze. Il dubbio, l’incertezza, la nevrosi del protagonista caratterizzano la narrazione, sospesa tra il reale e l’immaginazione.

Nella storia, al fianco di Alberto, sta il fratello Carlo, impersonato da Peppe Servillo: la fratellanza sul palcoscenico, ai tempi interpretata da Eduardo e  il fratello Luca, viene resa dalla forza di una fratellanza reale, biologica, che contribuisce ad ampliare l’impatto emotivo della rappresentazione.

Oltre a tessere le lodi di De Filippo, Toni si lascia andare a un’accorata esaltazione della propria città, Napoli, dove esiste ancora il popolo, che resiste alle sorti del progresso e vi oppone una storia antichissima quanto autorevole. Un umanità “nutriente” per un artista, pur con le sue mille contraddizioni, caratterizzata  da un comportamento sociale “recitato”. Nei Napoletani insomma si riflette il paradosso dell’attore, che può fingere nell’autenticità e allo stesso tempo essere autentico nella finzione.

Dal pubblico arrivano inevitabili le domande sull’oscar e sui film, Toni racconta l’emozione della premiazione a Los Angeles (“Si è ridotta la distanza tra la realtà e i sogni”) e l’importanza del fortunato connubio con Sorrentino, ma non si lascia distrarre e mantiene il discorso in ambito teatrale. Critica il teatro da lui definito “depresso” e “orrendo” che ormai dilaga, quello perfetto esteticamente ma privo di passione ed emozione.

Solo a teatro è rimasta l’atmosfera di un’assemblea, un luogo in cui gli uomini condividono emozione e pensiero. Grazie alla forza esplosiva di un testo essi catturano qualcosa che li aiuta a vivere, a sopportare il dolore.

I personaggi non si limitano a inscenare la loro storia, ma nel profondo ci parlano di noi, così come quelle voci di dentro che danno il titolo alla commedia, che si accavallano nella testa del protagonista allucinato e sanno rivelargli più verità rispetto all’osservazione diretta del reale.

G.

La finzione naturale


Aggirandomi tra le foto di Robert Doisneau, esposte alla mostra “Paris en libertè” a Palazzo Ducale a Genova, non mi rendo conto del tempo che passa, catturato dall’atmosfera parigina e dai volti misteriosi ed eloquenti dei soggetti. Terminato il giro soddisfatto, sono pronto a raccattare lo zaino dall’armadietto e correre di fretta a lezione. Ma un dubbio mi assale e mi costringe a fermarmi: ma la foto del manifesto? I due che si baciano? Mica l’ho vista.

Non posso andarmene senza averla nemmeno guardata di stralcio, insomma è possibile che non ci sia? Per fugare ogni dubbio chiedo al primo custode che incrocio, che tra l’infastidito e il divertito mi guida verso la tanto agognata fotografia, posta in mezzo alla prima sala, su un pilastro che mi era sfuggito completamente.

Il Bacio dell’Hotel de Ville“, 1950Il Bacio dell'Hotel de Ville, 1950

La guardo, ormai l’ho vista così tante volte sui cartelloni, i manifesti, i volantini e gli autobus di Genova che ce l’ho stampata nel cervello in ogni piccolo dettaglio. Però eccolo lì: il numerino che indica la registrazione. Premo il numero sul registratore, premo play e la saccente vocina ormai familiare inizia a raccontarmi tutti i retroscena dello scatto. E in effetti aver insistito per vedere la famosa foto ripaga proprio grazie alla registrazione, la più curiosa e interessante di tutte.

A quanto pare Doisneau deve a quest’immagine la fetta più grande della sua fama ma anche i fastidi e i dispiaceri più gravi. Innanzitutto vengo a scoprire che lo scatto non fu spontaneo, ma i due giovani, tali Françoise Bornet e Jacques Carteaud, erano stati pregati dal fotografo di posare per lui, che stava realizzando un servizio per la rivista americana Life. Soltanto negli anni ’80 la foto divenne una vera e propria icona, in quanto apriva l’album Tre secondi d’eternità, finendo su cartoline, calendari, poster. L’identità dei soggetti, però, rimase segreta dal 1950 fino al 1993, anno in cui due coniugi, Denise e Jean-Louis Lavergne, dichiararono in televisione di essere i protagonisti della fotografia, ritratti senza il loro permesso. La falsa accusa costrinse Doisneau a rivelare la natura dello scatto per difendersi e dimostrare di aver avuto il permesso. Françoise Bornet infatti si presentò da lui con la stampa autografata inviatale, portando alla luce la verità. I problemi non finirono per il nostro Robert, che fu accusato dalla stessa Bornet di sfruttamento abusivo della sua immagine. Anche quest’istanza fu respinta, poiché il volto della donna non era riconoscibile nella foto.

Certo, Il Bacio è una foto su richiesta di una rivista, con due protagonisti prestabiliti, ma riesce comunque a trasmettere un’estrema naturalezza. Dopotutto i due giovani erano davvero innamorati, e questo traspare, e altrettanto naturale è l’atmosfera, la folla in movimento, la città. La costruzione e la realtà si mescolano appannando i loro confini: Doisneau riesce a scavare e ricreare dal mondo che ha di fronte all’obiettivo il mondo ideale che immagina e desidera, come possiamo intendere dalle sue stesse parole:

Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere.

Autoportrait au rolleiflex, 1947

Oltre alla tormentata foto sono raccolte nell’esposizione più di 200 fotografie originali scattate da Doisneau nel periodo dal 1934 al 1991 nella sua amata Parigi: il percorso antologico presentato al Ducale è come una passeggiata tra i giardini e le strade della città, un viaggio tra i volti della variegata popolazione parigina, colta nei gesti e nelle abitudini di tutti i giorni. La mostra è iniziata il 29 settembre e per godervela avete tempo fino al 26 gennaio 2014.

G.