Avant les rues [recensione]


160430_5x8w2_rykko-bellemare_sn635

‘Nessuno sa come sono esattamente le cose quando non le si osserva.’

Con questa citazione di Hubert Reeves si apre il film Avant les rues, opera prima della regista canadese Chloé Leriche, che si è occupata anche di sceneggiatura, produzione e montaggio.

Chloé ha fatto proprio ciò che suggerisce Reeves: ha osservato – e l’ha fatto per ben cinque anni – l’esistenza di tre comunità di Atikamekw, nativi americani nelle riserve del Québec, per poi mettersi dietro alla macchina da presa e ritrarre la loro insolita realtà. Un massiccio e appassionato lavoro di documentazione che la regista ha fatto per realizzare un’opera autentica e sincera; dopodiché sono bastati solo trentun giorni per effettuare tutte le riprese.

La ricerca di autenticità si declina anche nella scelta di utilizzare per i dialoghi la lingua della comunità, ricchissima e dotata di suoni unici, intrisa di connotazioni autoctone, che ben rappresenta il mondo degli Atikamekw. Gli attori stessi non sono professionisti, ma persone appartenenti a queste comunità, che interpretano ruoli quasi reali; il protagonista e sua sorella, ad esempio, sono fratelli per davvero, ed è una vera guida spirituale quella che appare nella film.

L’intento di Chloé non è stato tanto artistico, quanto sociale e antropologico: il film è nato per denunciare al mondo le condizioni di vita di queste comunità, dimenticate e abbandonate al loro destino, bersagliate dall’indifferenza e dai pregiudizi di coloro che gli abitano intorno. Un invito alla riflessione e alla possibilità di entrare in contatto con una cultura del tutto particolare e affascinante.

Il problema, infatti, è reale: tra questi nativi è in atto un’ondata di suicidi, provocata dall’impossibilità di trovare una ragione di vita nell’ambivalenza; a nulla serve l’intervento di psicologi in una cultura quanto mai diversa da quella occidentale, che invece nutre il profondo bisogno di riallacciarsi alle tradizioni, al contatto con la natura, come la Leriche ha mostrato in questa storia di formazione. Il genocidio culturale perpetrato contro queste popolazioni è ancora presente, così come il razzismo radicato. Il film si fa carico di una missione di sensibilizzazione e presa di coscienza.

8d1a76e6d0411dd0cf1a5cded1783afc-160430-lj33y-film-avant-les-rues-sn635

Siamo di fronte a uno dei numerosi coming-of-age presentati al Torino Film Festival 2016: il giovane Shawnuk è protagonista di una travagliata ricerca di identità in un non-luogo permeato da spinte contrastanti, tra il radicamento alle proprie origini e le incursioni della società dei consumi. Eloquente la rappresentazione del personaggio, vestito in stile hip-hop e attaccato al suo cellulare, ma caratterizzato da tratti somatici tipici e dai capelli lunghi, come a rappresentare il risultato di una contaminazione culturale mal digerita. Intorno al ragazzo una comunità distrutta dalla droga, dall’alcool, dal machismo, dalla mancanza di sogni e di prospettive.

Un tragico fatto accidentale fa precipitare il ragazzo in una profonda crisi esistenziale che potrà trovare rimedio solo in una drastica riscoperta della propria cultura, celata tra gli alberi della foresta, risvegliata da una guida spirituale, celebrata nei canti tradizionali.

A livello estetico non si può non apprezzare il realismo delle riprese e la fotografia, che regala una vivida rappresentazione del mondo degli Atikamekw, isolato e desolato il centro abitato, composto di spazi aperti ma soffocante come una gabbia senza via d’uscita, grandiosa invece la foresta, con la sua atmosfera di libertà e purezza. Molto apprezzabili anche i primi piani, che indagano con delicatezza e sentimento gli sguardi dei protagonisti, disorientati ma orgogliosi delle loro radici. Idilliaca e commovente la scena dell’abbraccio familiare, che tampona le ferite del dissidio interiore e dona nuova speranza.

Unica pecca: una certa debolezza narrativa con relativa mancanza di ritmo, che nega allo spettatore la facilità di un coinvolgimento costante e rischia di non dare giustizia all’importanza sociale dell’opera.

G.

American Gothic / Fight Club 2


Tra le pagine del graphic novel Fight Club 2, sequel del romanzo di culto del 1996, si trova un’affascinante citazione di un’opera-simbolo dell’arte americana del XX secolo.

Grant Wood American Gothic (1930)

Chuck Palahniuk e Cameron Stewart – Fight Club 2 (2012)
G.

I dannati e i perduti 


  

…un Dio grande mi avrebbe aiutato molto di più a superare i casini e il terrore e il dolore e l’orrore, sarebbe stato più facile e forse anche più pratico, mi avrebbe aiutato a comprendere alcune delle puttane con le quali ho vissuto, i lavori monotoni, il non avere lavoro, le notti di pazzia e di inedia, […] ma io pensavo che se mi fossi convertito, se avessi trovato la fede, allora avrei dovuto lasciare là sotto il diavolo tutto solo con le sue fiamme, e quello non sarebbe stato bello da parte mia perché negli eventi sportivi avevo quasi sempre la tendenza a schierarmi con i perdenti e negli eventi spirituali ero colpito dalla stessa malattia perché non ero un uomo di pensiero, mi basavo su ciò che sentivo e i miei sentimenti erano schierati tutti per i deformi, i torturati, i dannati e i perduti, non per compassione ma per fratellanza  perché ero uno di loro, perso, confuso, indecente, insignificante, pauroso e codardamente ingiusto e gentile solo a sprazzi e sebbene fossi fottuto, sapevo che non serviva a niente, non era la cura, semplicemente rafforzava il mio modo di essere.

Charles Bukowski, Shakespeare non l’ha mai fatto (1979)

Un orizzonte in costante cambiamento


image

C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso… Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un’esistenza non convenzionale…

Into the Wild di Sean Penn, 2007

In fiamme


Molto-forte-incredibilmente-vicino_h_partb

Ho pensato a tutte le cose che tutti ci diciamo l’un l’altro, e che tutti dobbiamo morire, o fra un millisecondo, o fra giorni, o fra mesi, o fra 76 anni e mezzo se uno è appena nato. Tutto quello che è nato deve morire, e questo significa che le nostre vite sono come i grattacieli. Il fumo sale a velocità diverse, ma le vite sono tutte in fiamme, e tutti siamo in trappola.

Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer, 2005

Sono passati già tredici anni dall’evento che ha ferito l’occidente con la sua violenza, una ferita che brucia ancora in tutti noi. Quelle immagini spaventose sono così radicate nel nostro immaginario da aver perso significato. E allora voglio lasciar perdere le immagini, e ricordare l’11 settembre con un breve passo tratto da questo libro così sincero e graffiante, uno dei primi che hanno affrontato apertamente la tragedia. Ne abbiamo sentite molte, sui complotti, i segreti governativi, le finzioni. Ma quello che ci dobbiamo ricordare, in quanto esseri umani, è il dolore di altri esseri umani, che ignari e innocenti hanno visto crollare le loro vite da un momento all’altro. E ancora di più di quegli esseri umani che hanno assistito impotenti alla morte dei loro cari, dei loro concittadini e allo stesso tempo all’annientamento delle loro sicurezze, dei loro sogni.

E anche noi siamo impotenti di fronte a tutto questo, non possiamo far altro che riflettere in un angolo della nostra giornata, e avere un pensiero per chi non c’è più, e per chi c’è e ha perso la voglia di sorridere.

G.

Estasi


image

E per un istante raggiunsi l’estasi che avevo sempre desiderato conoscere: consisteva nell’entrare di netto nelle ombre eterne superando il tempo cronologico e nell’osservare stupefatto da lontano lo squallore del regno mortale, nella sensazione della morte che mi incalzava spingendomi ad andare avanti, con un fantasma alle spalle che la incalzava a sua volta, e correvo verso un trampolino dal quale si tuffavano gli angeli per lo volare nello spazio sacro del vuoto della non-creazione, nel potente e inconcepibile fulgore che si sprigionava dalla luminosa Essenza della Mente, con gli innumerevoli regni dell’oblio che si aprivano nel magico firmamento del paradiso.

Sulla strada di Jack Kerouac, 1957